Ipercolesterolemia familiare omozigote

Le iniziative della Società Italiana per lo Studio dell'Aterosclerosi (SISA) per migliorare la diagnosi

Il dr. Antonio Baule: “Di particolare importanza è stata la creazione del network nazionale LIPIGEN, dedicato alle dislipidemie genetiche”

Dott. Antonio Baule
Dott. Antonio Baule

SASSARI – L’ipercolesterolemia familiare è una malattia ereditaria in cui un’alterazione genetica provoca livelli molto elevati di colesterolo LDL (il cosiddetto colesterolo “cattivo”) nel sangue. Essendo una malattia genetica si può presentare nella forma eterozigote, che è meno grave e talvolta asintomatica, o in quella omozigote, nella quale il bambino eredita da entrambi i genitori il gene difettoso. Di quest’ultima forma abbiamo parlato con il dr. Antonio Baule, medico presso la Stroke Unit dell’Ospedale “Santissima Annunziata” dell’AOU di Sassari e presidente della sezione sarda della SISA (Società Italiana per lo Studio dell’Aterosclerosi).

Dottor Baule, l’ipercolesterolemia familiare omozigote sembra essere particolarmente diffusa nell’Isola: ci può illustrare le caratteristiche della patologia e i dati epidemiologici a livello regionale?
“Le forme omozigoti sono caratterizzate dalla presenza di valori ematici di colesterolo estremamente elevati già dopo la nascita. In questi pazienti il colesterolo in eccesso si accumulerà sulle pareti delle arterie: ciò porterà all’insorgenza dell’aterosclerosi già in giovane età, e di conseguenza allo sviluppo precoce di gravi malattie cardio e cerebrovascolari come l’infarto del miocardio e l’ictus. L’ipercolesterolemia familiare omozigote in passato sembrava interessare circa un caso su un milione, ma negli ultimi anni si è scoperto che è in realtà più comune, ovvero circa un caso su 200-300.000. In Sardegna la frequenza della malattia è notevolmente più alta rispetto al resto d’Italia e del mondo occidentale: è stata stimata infatti una prevalenza di circa 1 su 38-40.000, fra individui omozigoti ed eterozigoti composti (portatori cioè di una variante a trasmissione recessiva, la cosiddetta ARH, che ha caratteristiche genetiche differenti ma quadri clinici simili alle forme omozigoti dominanti meno gravi)”.

Il problema principale di questa malattia è la mancata diagnosi: cosa sta facendo la SISA per migliorare l’individuazione delle forme più gravi?
“La SISA, circa 9 anni fa, ha creato LIPIGEN, un network nazionale per la diagnosi clinica e molecolare delle dislipidemie genetiche. Lo scopo è quello di facilitare la diagnosi genetico-molecolare delle dislipidemie e la creazione di un database nazionale, nonché di favorire la ricerca in tale ambito e contribuire a migliorare la consapevolezza e la cultura dei medici e dei pazienti su queste patologie. Attualmente fanno parte del network circa 50 Centri in Italia, e credo che il contributo di LIPIGEN nel superamento delle tante criticità legate alla diagnosi e alla gestione di queste patologie sia stato e continui ad essere di estrema rilevanza”.

Ritiene che la diagnosi clinica sia sufficiente? Aspettare quella genetica, non obbligatoria, rischierebbe di ritardare il trattamento corretto?
“Credo che questo sia un punto importante. La diagnosi dell’ipercolesterolemia familiare omozigote si basa sostanzialmente su criteri clinici e anamnestici: in particolare è necessario conoscere la storia familiare del paziente e valutare l’eventuale presenza di patologie cardio o cerebrovascolari precoci. È poi fondamentale l’esame fisico nella ricerca degli xantomi, che sono accumuli di grasso sottocutanei che si trovano principalmente nei gomiti, nelle mani, nei piedi o nelle palpebre (xantelasmi). Ovviamente un dato fondamentale per la diagnosi è costituito dal riscontro di elevati valori nel sangue di colesterolo LDL. Con i progressi della genetica è ormai possibile, in una buona parte dei casi, confermare la diagnosi identificando la mutazione responsabile della patologia, ma la ricerca di quest’ultima non deve in alcun modo ritardare il trattamento di questi pazienti”.

Una volta ottenuta la diagnosi, è essenziale che i pazienti omozigoti ricevano urgentemente una terapia ipolipemizzante: quali sono le opzioni?
“Abbiamo ad oggi diverse possibilità terapeutiche per ridurre i valori di colesterolo LDL in questi pazienti: le statine e l’ezetimibe in prima battuta, e l’aferesi delle lipoproteine, che è una metodica simile alla dialisi nella quale si filtra il sangue per rimuovere il colesterolo. Questa procedura è in grado di ridurre di circa il 50-70% i valori di LDL rispetto a quelli precedenti il trattamento, ma ha delle limitazioni legate alla sua invasività, soprattutto nei bambini, e alla necessità di ripeterla più o meno settimanalmente. Durante la procedura, inoltre, possono comparire effetti collaterali come nausea o ipotensione. Recentemente, si sono aggiunte altre opzioni farmacologiche come gli inibitori di PCSK9, che possono ridurre di un ulteriore 25-30% i valori di colesterolo LDL: si iniettano sottocute due volte al mese ma non possono essere usati per tutti i pazienti (è necessario vi sia un’attività residua del recettore LDL superiore al 2%). Dal 2013, una nuova opzione terapeutica è rappresentata dalla lomitapide, un farmaco che può invece essere utilizzato su tutti i pazienti ed è in grado di ridurre i valori di LDL addirittura del 55-60% (talvolta anche del 70%). La lomitapide si assume quotidianamente per via orale, in monosomministrazione lontano dai pasti. È fondamentale una attenta titolazione del farmaco da parte dello specialista per evitarne gli effetti collaterali, che si manifestano prevalentemente sul tratto gastrointestinale (nausea, diarrea e gonfiore addominale) e sul fegato (steatosi epatica). Anche dai dati real life disponibili, questo farmaco ha confermato la sua estrema efficacia e sicurezza nel trattamento dei pazienti affetti da ipercolesterolemia familiare omozigote”.

In che modo è possibile migliorare la consapevolezza dei medici riguardo a questa patologia?
“Sono numerose le attività della SISA, sia a livello nazionale che regionale, volte a migliorare la cultura e la consapevolezza dei medici rispetto all’ipercolesterolemia familiare. Naturalmente il cuore delle attività è rappresentato dal congresso nazionale, che per ora è previsto in modalità virtuale dal 22 al 24 novembre. Inoltre, in qualità di presidente della sezione Sardegna, mi preme ricordare l’appuntamento col nostro congresso regionale, che è stato recentemente rinviato al 5 e 6 marzo del 2021 a causa dell’emergenza COVID-19”.

FONTE: Osservatorio Malattie Rare.