Vitamina D e omega-3 per rallentare diabete di tipo I

Studio preliminare coordinato da Camillo Ricordi

Vitamina D
Foto di S. Hermann & F. Richter da Pixabay

La vitamina D e gli omega-3 possono “rallentare o arrestare la progressione” del diabete di tipo I. Sono i primi risultati di uno studio preliminare internazionale coordinato da Camillo Ricordi, direttore del Diabetes Research Institute e Cell Transplant Center dell’Università di Miami e componente del Consiglio superiore di sanità, pubblicati su ‘CellR4’. Lo studio (T1D Prevention Field Study), che si avvale delle modalità ‘open source’, comprende 103 partecipanti da 15 paesi, con una predisposizione al diabete per la presenza di alcuni anticorpi sentinella, a cui però non è stata diagnosticata la malattia, ma si dovrebbe arrivare ad almeno 400 partecipanti entro la fine del 2022.
Si stima che in Italia vivano almeno 16.000 bambini affetti da diabete di tipo I e che ogni anno circa 1.500 bambini presentino l’esordio della malattia. “In quasi tutti i soggetti pediatrici l’esordio del diabete di tipo I si mostra con livelli bassi di vitamina D nel sangue e un rapporto tra omega-6 e omega-3 sbilanciato – spiega all’Adnkronos Salute Ricordi – Secondo il test ‘AA:EPA Ratio’, che valuta lo stato infiammatorio silente del soggetto, il rapporto corretto tra omega-6 e omega-3 nel sangue deve essere 1 a 5 o 1 a 3. Se invece gli omega-6 si alzano, la situazione infiammatoria peggiora e quando l’alimentazione è ricca di zuccheri raffinati e povera di polifenoli, ecco che il diabete esplode”.
“Quindi da questo e altri studi, come il ‘Poseidon‘ – prosegue l’esperto – sta emergendo che il diabete di tipo I potrebbe essere una condizione predisponente legata in parte alla carenza di vitamina D e di omega-3. Un’integrazione di questi nell’alimentazione potrebbe essere un’azione preventiva in grado di rallentare o arrestare la progressione della malattia”.
Lo studio (T1D Prevention Field Study) si avvale di una nuova modalità di reclutamento online dei partecipanti che, utilizzando un protocollo per alcuni esami del sangue preliminari e da ripetere poi nel tempo, inviano i dati ad un database condiviso da diversi centri internazionali. Una tipologia ‘open source’ che a breve arriverà anche in Italia: sono diversi i centri che dovrebbero entrare a far parte di questa rete che ha base in Usa, ‘Grassroots Health Research Institute’.

FONTE: AdnKronos